L'avvocato Antonio Dello Preite cura per Luceraweb la rubrica dedicata all’analisi di problemi di natura legale
Egregio avvocato,
ho appreso dalla TV la notizia di una condanna del noto giornalista Alessandro Sallusti, per il reato di diffamazione. La cosa ha fatto molto scalpore e molti – in particolare il mondo del giornalismo - hanno sottolineato come questa sentenza possa configurare una lesione della libertà di pensiero e del diritto di critica. Sembra che il giornalista in questione debba anche scontare una pena di un anno e due mesi di reclusione perché non gli è stata concessa neppure la sospensione condizionale della pena. La cosa sarebbe arrivata anche ai “piani alti” per una revisione della legge sulla diffamazione. L’altra sera, a cena con amici ognuno diceva la sua sulla vicenda e questo ha aumentato ancor di più la mia confusione sull’argomento.
Potrebbe darmi dei chiarimenti al riguardo?
Grazie.
Un assiduo lettore
La diffamazione a mezzo stampa è uno tra gli argomenti più delicati del nostro sistema giudiziario perché – come è facile comprendere – si incontrano e scontrano diritti costituzionalmente protetti.
Il diritto di cronaca esercitato dal giornalista è un’espressione del più ampio ed incoercibile diritto di libertà del pensiero e cioè quello di riportare, tramite un mezzo di diffusione (televisivo, radiofonico, cartaceo o telematico), un fatto storicamente avvenuto ed eventualmente esprimere su di esso una personale opinione.
Il diritto di tutti ad essere informati su quel fatto è anch’esso un’altra faccia del diritto di libertà del pensiero (sia pure in forma passiva) ad essere destinatari di quel messaggio: tutti, cioè, hanno il diritto di conoscere ciò che accade intorno a loro e di essere informati.
Vi sono, però, anche altri diritti: quelli della persona oggetto del diritto di cronaca, quali la sua onorabilità e la sua reputazione che debbono ricevere uguale tutela come i primi due.
L’equilibrio è molto delicato e possono avvenire situazioni come quella di Alessandro Sallusti che, quale direttore del noto quotidiano “Libero”, ha consentito la pubblicazione dell’articolo incriminato a firma di un certo Dreyfus.
Per una sommaria ricostruzione del fatto mi sono avvalso di un editoriale a firma di Antonio Castaldo su “Il Corriere della Sera” che può consultare sull’apposito link sopra dove troverà, a seguire, le specifiche previsioni di legge sull’ argomento.
In breve: Il quotidiano Libero, all'epoca diretto da Sallusti, pubblica i fatti descritti sul link con un commento firmato da tale Dreyfus, con il quale, «il magistrato ha ordinato un aborto coattivo», la madre e il padre avrebbero voluto «cancellare con bello shampoo di laicità» l'amore di una giovane madre per il bimbo. Mentre il medico avrebbe «estirpato il figlio e l'ha buttato via». Per poi concludere con un augurio: «Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice». Queste frasi non sono piaciute al magistrato Giuseppe Cocilovo, che ha presentato una denuncia per diffamazione. Ne è seguita la condanna in primo e secondo grado, e il sigillo della Cassazione.
Il reato di diffamazione semplice o a mezzo stampa (si vedano le disposizioni di legge sul link) punisce l’offesa all’ altrui reputazione.
Cosa si intende per reputazione?
La reputazione di una persona è strettamente correlata con il suo onore che può definirsi come l’insieme delle doti morali (onestà, lealtà ecc. ecc.), intellettuali (intelligenza, istruzione, educazione ecc. ecc.), fisiche (sanità, prestanza ecc. ecc.) e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dell’ individuo nell’ambiente in cui vive.
Ciò che conta per l’ordinamento giuridico sono i due riflessi, soggettivo ed oggettivo, dell’onore stesso e cioè il sentimento del proprio valore sociale (riflesso soggettivo), nonché la reputazione di cui un soggetto gode nella comunità (riflesso oggettivo).
Il delitto di diffamazione (vedi l’art.595 del codice penale nel link sopra) prevede alternativamente la possibilità di infliggere al condannato una pena detentiva oppure una pena pecuniaria e, aggiungo, l’esperienza giurisprudenziale ci insegna che, nella stragrande maggioranza dei casi di condanna anche aggravata per diffamazione a mezzo stampa, la pena per il reo è sempre stata del secondo tipo.
Nel caso concreto, poi, l’articolo incriminato non attribuiva un fatto falso e diffamatorio a carico del querelante ma si concretizzava in una critica molto violenta nei toni e nella scelta del lessico ad una sua decisione assunta in una causa in qualità di Giudice tutelare.
Inoltre, Sallusti è stato condannato a titolo di colpa come direttore e non come autore dell’articolo – scritto da quel tale Dreyfus – per non aver esercitato il dovuto controllo su quanto veniva pubblicato sul giornale “Libero” da lui diretto, o avendolo esercitato, per averne condiviso la pubblicazione.
Ad ogni modo – per quanto ho potuto leggere sul web – ciò che ha fatto più discutere è il fatto che nel giudizio di primo grado il direttore Sallusti sarebbe stato condannato solo ad una pena pecuniaria (multa) ed avverso questa condanna la Procura di Milano avrebbe proposto appello conclusosi con la condanna in secondo grado alla ben più severa pena di anni uno e mesi due di reclusione senza la sospensione condizionale della pena: la Cassazione ha confermato.
Orbene, qualsiasi giudice nell’irrogare la pena deve attenersi ai criteri dell’ art.133 del codice penale (è previsto un minimo ed un massimo e, nel caso di specie, anche la scelta del tipo di pena, se detentiva o pecuniaria), che sono: la natura ed i mezzi del reato, la gravità del danno, l’intensità del dolo o il grado della colpa, la capacità a delinquere dell’imputato, i suoi precedenti penali, la sua condotta prima e dopo del reato e le sue condizioni di vita.
Inoltre il giudice, se ritiene a sua discrezione che l’imputato, incensurato, per il futuro si asterrà dal commettere altri reati concede il beneficio della sospensione condizionale della pena, se questa non supera i due anni di pena detentiva (art.163 del codice penale).
La sospensione può essere concessa addirittura una seconda volta se le due pene, cumulate fra loro, non superano comunque i due anni.
A questo punto, perché al direttore Sallusti né la Corte d’ Appello né la Cassazione hanno concesso la sospensione condizionale della pena?
C’è stato un giudizio di prognosi gravemente negativo da parte dei giudici su un imputato incensurato, o quell’ imputato non poteva beneficiare della pena sospesa perché gravato da altre condanne che ne impedivano la concessione? Questo onestamente non glielo so dire, perché si dovrebbero leggere le motivazioni della Suprema Corte.
Quanto alla prigione che dovrebbe aprire tra poco le sue porte, anche qui si è parlato troppo ed a sproposito, in quanto l’ art.656 codice di procedura penale prevede la sospensione automatica dell’esecuzione sino a tre anni di pena detentiva per i reati meno gravi (la diffamazione ci rientra) perché questa sia scontata con misure alternative in affidamento in prova ai servizi sociali o in semilibertà o con detenzione domiciliare, secondo le norme dell’ ordinamento penitenziario, più noto come legge Gozzini.
In definitiva, -a) in tutti e tre i gradi di giudizio il contenuto dell’articolo e stato ritenuto diffamatorio; -b) è del tutto evidente che il reato di diffamazione ha colpito, “a mezzo stampa” non solo la persona, ma anche la sua funzione – e quindi l’Istituzione – beneficiando di una diffusione in teoria illimitata, con lesività maggiore rispetto alla fattispecie semplice.
Questi sono, per grandi linee, gli istituti giuridici richiamati dalla nota vicenda.
Se, poi vogliamo entrare nel mondo dell’ opinione e dell’ opinabile, su questa storia c’è da parlare per giorni interi.
Navigando sul web e consultando qualche blog, molti hanno detto la loro, a partire dalle ovvie e fisiologiche difese da parte di tutta la categoria giornalistica, dalla specifica attenzione del Quirinale sulla riforma della legge sulla stampa, criticata perché più appropriata se rivolta, ad esempio, alle condizioni inumane nelle quali sono costretti sia i detenuti che i loro carcerieri, dalla critica alla durezza della pena irrogata al giornalista da parte dei giudici perché la parte offesa era un loro collega. Sembra, poi, che in quasi 6 anni di processo, il quotidiano diretto da Sallusti non avrebbe sentito la necessità di pubblicare una rettifica, nè tanto meno avrebbe offerto le proprie scuse al magistrato, significando, probabilmente, che l’opinione espressa dal giornalista era ed è condivisa dal direttore responsabile.
Inoltre, a condanna confermata, Sallusti avrebbe affermato di voler andare in carcere e di non aver nulla da chiedere, nè di aderire alle pene alternative, perché non ritiene di dover essere rieducato.
Io credo che di fronte al coraggio di mantenere le proprie idee sia giusto concedere – a questo punto – anche il diritto di espiare la propria pena.
La discussione potrebbe continuare ancora, ma credo, con questo intervento, di aver aiutato Lei ed altri lettori a capire, sia pure per grandi linee, cos’ è la diffamazione a mezzo stampa.
Cordiali saluti.
Avv. Antonio Dello Preite
Per sottoporre domande scrivere a: a.dellopreite@luceraweb.it
Periodicamente i lettori potranno trovare risposta a quesiti legali generici che rappresentano una divulgazione ed un chiarimento di argomenti giuridici generali ed impersonali.
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