
L'avvocato Antonio Dello Preite che per Luceraweb cura la rubrica di questioni legali
Egregio avvocato,
sono la sorella di un detenuto per reati di truffa. Oggi sono andata a trovarlo in un centro clinico ed è stata la prima volta, perché non avevo il coraggio di entrare in carcere. Mio fratello ha dei seri problemi di salute (grande male e seria ipertensione). Come posso aiutarlo? Deve stare per forza in carcere?
La ringrazio per i consigli che vorrà darmi.
Una affezionata lettrice
Gentile signora,
purtroppo Lei non mi specifica il tipo di reato e, soprattutto, la quantificazione della pena, perché ciò è importante ai fini di quanto Le sto per dire.
A lume di naso posso dirle che la truffa – art.640 del Codice Penale – non crea particolari problemi: se però questo reato, ad esempio, è inserito in un più grande disegno criminale associativo (art.416 del Codice Penale), oppure è stato commesso per conseguire erogazioni pubbliche (art.640-bis del Codice Penale) la cosa cambia.
Lei, tuttavia, non mi specifica se Suo fratello si trova in carcere per scontare una pena definitiva o per una custodia cautelare.
Se sta scontando una pena definitiva, le ipotesi sono due: o Suo fratello è recidivo e non può beneficiare della sospensione condizionale della pena oppure è la prima volta e la pena supera il limite per la concessione del beneficio (due anni di reclusione).
Se, invece, sono in corso delle indagini e si trova in carcere per un’ordinanza di custodia cautelare, la cosa è più complicata perché – anche se incensurato - a suo carico sussistono gravi indizi di colpevolezza: per intenderci, se una persona incensurata commette un omicidio, anche se è la prima volta che commette un reato, resta in custodia carceraria e a casa non lo mandano.
Nel primo caso scattano le disposizioni della Legge 26.07.75 n° 354 (c.d. legge “Gozzini”), nel secondo, bisogna verificare, caso per caso, se a carico di Suo fratello sussistono quei gravi indizi di colpevolezza che dicevo prima, tali da far sussistere il mantenimento della sua custodia in carcere e se, in presenza di un quadro clinico grave, la misura possa essere attenuata con la concessione degli arresti domiciliari o, addirittura, con la rimessione in libertà.
Ad ogni modo è diritto di Suo fratello di farsi visitare da un medico di sua fiducia e presentare al Giudice motivata istanza di attenuazione della misura cautelare, o – se condannato in via definitiva – di essere ammesso ad una misura alternativa alla detenzione.
In entrambi i casi, se la patologia non è grave, gli istituti carcerari – con la somministrazione di adeguata terapia – possono far fronte alle comuni patologie.
La legge (art.47-ter), nell’ipotesi di detenuti condannati in via definitiva, prevede tuttavia che, sussistendo determinate condizioni, la pena detentiva non superiore a quattro anni, possa essere scontata in regime di detenzione domiciliare (la pena può essere anche superiore a detti limiti se l’età del condannato supera i 70 anni e se lo stesso non deve rispondere di reati gravi).
La situazione di gravi condizioni di salute deve esser certificata da un ufficio pubblico sanitario o da un consulente del Giudice, a seguito del quale, con opportuna istanza, può essere concesso il beneficio della detenzione domiciliare.
Questo per quanto riguarda i condannati in via definitiva.
Per i detenuti in attesa di giudizio in via cautelare, il discorso è un po’ diverso ed anche un po’ più rigido perché un’attenuazione della misura deve essere giustificata da circostanze piuttosto gravi e non altrimenti differibili (ad es. pericolo di vita), tali da far attenuare il provvedimento cautelare.
Se la pena da scontare, poi, non supera i tre anni, il detenuto può espiare la pena in regime di “affidamento in prova ai Servizi Sociali” (art.47): si tratta in pratica di una scarcerazione vera e propria ed il detenuto – sottoposto a determinati obblighi – risiede nella sua abitazione, può uscire di casa ed avere una discreta libertà di movimento.
Vi è poi l’ammissione al regime di semilibertà (art.48) dove il detenuto esce dal carcere per svolgere attività lavorativa e rientrarvi la sera, trascorrendo la notte in istituto: il requisito richiesto è che il condannato debba aver espiato almeno metà della pena.
Lei non mi precisa quale è la reale situazione, per cui dovrà adeguarsi a ciò che Le ho dapprima descritto.
Inoltre, con le recenti disposizioni per fronteggiare il sovraffollamento carcerario, le pene sino a 18 mesi – se non ricorre la gravità del reato commesso – possono essere comunque espiate in regime di detenzione domiciliare e, se come mi dice, stiamo parlando di una truffa, ribadisco che non dovrebbero esserci particolari problemi per essere ammessi ad una misura alternativa alla detenzione (anche se, per essere più preciso, dovrei leggere le carte processuali).
Auguri per il felice esito dell’intera vicenda.
Avv. Antonio Dello Preite
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