
L'avvocato Antonio Dello Preite che per Luceraweb cura la rubrica di questioni legali
Gentile avvocato,
Dopo una relazione di 5 mesi, la mia ragazza è rimasta incinta: la nostra relazione non è mai andata bene, ci siamo lasciati più volte e l'ultima definitivamente. Ora lei aspetta da 2 mesi, abbiamo fatto la richiesta per l'aborto e la settimana di ripensamento è passata, ma ora lei non vuole più abortire e, a volte, dice che si occuperà del figlio solo lei e che lo porterà all'estero (è straniera), altre volte dice che devo pagarle il mantenimento e il danno morale. Da una parte non vorrei vedere il mio futuro figlio soffrire e vorrei esser presente come genitore e pagare il mantenimento, ma dall'altra mi verrebbe da dire: "Hai avuto la possibilità di abortire e non hai voluto? Arrangiati!". Cosa mi permette di fare la legge?
La ringrazio, cordiali saluti.
Credo che alcuni concetti vadano chiariti.
La legge sull’interruzione della gravidanza, regolata dalla L.22.05.78 n°194, non consente alcun diritto di scelta al padre, rimettendo ogni decisione in merito alla volontà della donna che aspetta un bambino. Se la sua ex compagna riterrà di tenersi il bambino o di interrompere la gravidanza, sarà solo ed unicamente una sua scelta e lei non potrà intervenire in alcun modo.
La questione che qui può interessarle è quella della nascita del bambino, poiché, in caso di aborto, ogni ulteriore discussione viene meno.
La questione fondamentale è se lei lo riconoscerà o meno. Nel primo caso, acquisterà lo status di genitore con tutti i diritti e doveri che la cosa comporta (mantenimento, educazione, sostegno morale ed economico, ecc.), nel secondo caso, invece, potrebbe essere assoggettato dalla madre del bambino prima e da suo figlio dopo, alla cosiddetta “azione di riconoscimento” della paternità.
Questa procedura rientra nelle previsioni degli artt.269 e ss. del Codice Civile che prevedono le ipotesi relative alla “dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale”.
Si tratta di un’azione giudiziaria da proporre nei suoi confronti da parte della madre del bambino, il cui scopo è quello di accertare il suo stato di genitore naturale del bambino, con tutti i diritti e doveri che ne scaturiscono (art.277 del codice civile).
In sintesi:
1) l’art.270 del codice civile prevede che l’azione di riconoscimento di paternità naturale possa essere promossa dal genitore che ha la potestà sul minore. Questo significa che la sua ex compagna può iniziare l’azione non appena nasce il bambino, in quanto è l’unica ad averne la legittima rappresentanza. L’azione è imprescrittibile e può essere promossa in qualsiasi tempo e, quindi, a maggior ragione, anche dal presunto figlio, non appena raggiunge la maggiore età, se la madre non lo ha fatto. Inoltre il figlio può essere riconosciuto dal padre anche se muore prematuramente o, addirittura, nelle ultime volontà testamentarie.
2) L’azione deve essere esercitata davanti al Tribunale territorialmente competente;
3) L’art.269, 2° comma del codice civile, prevede che la prova possa essere data con qualsiasi mezzo, anche se la sola dichiarazione della madre e l’esistenza di rapporti tra questa ed il presunto padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale (art.269, ultimo comma del codice civile). La prova del DNA è quella che ultimamente ha assunto il rango di prova principe per il relativo accertamento. Ovviamente, laddove lei non intenda sottoporsi, il Tribunale valuterà sfavorevolmente questa sua pur insindacabile scelta, così come sancito da un recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione che qui di seguito segnalo: “… Il comportamento processuale della parte può costituire anche unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento del giudice e non solo elemento di valutazione delle prove già acquisite al processo. In particolare, a proposito della dichiarazione giudiziale di paternità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi a indagini genetico - ematologiche costituisce comportamento valutabile dal giudice, ai sensi dell'art.116, comma 2, c.p.c. e anche in assenza di prova certa, difficilmente acquisibile, di rapporti sessuali fra le parti, consente al giudice di desumere la prova della paternità da tale rifiuto, traendone la dimostrazione anche unicamente da detta condotta processuale del preteso padre, globalmente considerata e posta in correlazione con le dichiarazioni della madre…” (Cassazione civile, sez. I, 09 aprile 2009, n. 8733).
Pertanto, le sue conclusioni circa “l’arrangiarsi della madre” perché non ha voluto abortire, non le consentono di essere esonerato dalle sue future responsabilità di genitore, laddove venga intrapresa la via giudiziaria che ho poc’anzi descritto.
Auguri per un felice esito della sua controversia.
Avv. Antonio Dello Preite
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