“Senza DPI, posso rifiutarmi di lavorare?”
Gentile dottor D’Apote,
le scrivo per un parere. L'azienda è in ritardo con la fornitura degli indumenti da lavoro in un impianto di depurazione di acque reflue. Non c'è nessun verbale d'intesa con la R.S.U. che stabilisce le date di consegna. Ad oggi il datore di lavoro ha comunicato che la data prevista sarà presumibilmente il 30.06.17.
L'impianto si trova in Campania. Possiamo rifiutarci di lavorare?
Grazie x la cortese risposta
Salvatore
Buongiorno, Salvatore.
Premetto che, sebbene Lei abbia espresso efficacemente la problematica, fornire un parere in assenza di ulteriori elementi conoscitivi della sua azienda è estremamente difficoltoso e potrebbe ingenerare incomprensioni fra gli attori interessati alla sicurezza sul lavoro. Le darò però delle indicazioni su cui potrà riflettere, e che potrà elaborare insieme al suo RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza), indicazioni che peraltro sono applicabili in tutti i luoghi di lavoro, e non solo nell’azienda in cui lei è impiegato.
1- DPI o Indumenti da lavoro? Nel suo quesito mi riferisce di non aver ancora ricevuto dal datore di lavoro gli indumenti da lavoro. Poiché ha scritto che lavora in un impianto di depurazione di acque reflue, e quindi deduco che sia esposto soprattutto a rischio biologico, è indispensabile sapere se quelli che chiamate abitualmente indumenti da lavoro sono classificati come “vestiario” o come “DPI” (Dispositivi di Protezione Individuale). La differenza non è da poco: il vestiario è un capo di abbigliamento da lavoro che non ha una particolare funzione di protezione da rischi, e sostituisce l’abito personale durante le lavorazioni, al fine di non usurare o sporcare i capi di abbigliamento del lavoratore. Inoltre, conferisce di solito una uniformità nel vestiario dei dipendenti, che li fa ricondurre a prima vista, alla stessa organizzazione lavorativa, garantendo all’impresa una buona immagine nei confronti dei propri clienti e dei terzi.
Un capo di vestiario deve invece classificato “DPI – dispositivo di protezione individuale” quando, ai sensi dell’art. 74 del D.Lgs. 81/2008, è “destinato ad essere indossato e tenuto […] allo scopo di essere protetti contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute del lavoratore”. Parliamo ad esempio delle tute che proteggono dagli agenti chimici o biologici, da polveri, dalla catena di una motosega, o più semplicemente dall’esposizione a intemperie dell’inverno o al freddo delle celle frigorifere. Il loro uso è regolamentato dal Titolo III Capo II del Il D.Lgs. 81/2008. Pertanto, ogni volta che si è in presenza di un rischio e si deve proteggere il lavoratore da esso, nel caso in cui non si riesca ad eliminare il rischio alla fonte o ad utilizzare misure di protezione collettiva, si dovrà ricorrere all’uso dei DPI.
Sono invece esclusi dal novero dei DPI, secondo l’art. 74 della stessa norma: “gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore”.
Come verificare se l’indumento è un DPI o un capo di vestiario? In primis se il capo che si indossa è un DPI, esso è riportato nel DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), e deve obbligatoriamente essere utilizzato durante le fasi lavorative in cui si è esposti al rischio da cui il DPI ci proteggerà. Inoltre è fabbricato nel rispetto delle normative vigenti (EN 340) e sarà marcato CE per i DPI di I e II categoria, e CE 0624 per quelli di terza categoria, i cosiddetti “DPI salvavita” (oppure dotato di una etichetta attaccata al capo) e accompagnato da un foglietto contenente le certificazioni. Riporto nell’immagine qui sotto alcune indicazioni che il DPI tessile deve riportare per i pericoli da cui ci protegge.
Fatta questa doverosa premessa e tornando al suo quesito, è evidente che se gli abiti da lavoro che vi sono stati assegnati e che attendete sono stati classificati DPI, la loro consegna non può essere regolata da accordi, anche sindacali, per il semplice motivo che se il DPI tessile (chiamiamolo così) si è usurato o strappato prima del previsto, ed espone quindi il lavoratore ad un rischio, egli non potrà mettere a repentaglio la propria salute e sicurezza.
2 - Il diritto di resistenza (o di autotutela) del lavoratore. Venendo al suo secondo quesito, “Possiamo rifiutarci di lavorare? (in assenza di consegna di DPI)” questo comportamento è considerato un diritto-dovere del lavoratore, a ben precise condizioni, ed è chiamato in dottrina ed in giurisprudenza, “diritto di resistenza”. Più precisamente, il diritto di resistenza è consentito nel caso in cui, (vedi ad esempio Cassazione, sez. lav., 7-11-2005, n. 21479) “si configuri quale eccezione di inadempimento, trovando giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza di cui all’art.2087 C.C. che, pur in mancanza di disposizioni specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità fisico-psichica del lavoratore dipendente, tanto più se questi, prima dell’inadempimento, secondo gli obblighi di correttezza abbia informato il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare, sempre che tale necessità sia evidente o, comunque accettata od accettabile”.
Viene quindi riconosciuto, nel caso in cui il lavoratore abbia preventivamente ed inutilmente segnalato al datore di lavoro i pericoli riscontrati nel corso dello svolgimento della propria prestazione, il diritto di autotutela alla salute.
Nella citata sentenza, viene altresì precisato che “l’aspettativa ad un posto sicuro costituisce un imperativo categorico, presidiato da norme cogenti (artt.1460 e 2087 C.C.), giacché la normativa prevenzionistica, avente natura pubblicistica, in quanto deputata alla tutela di beni socialmente rilevanti, ha un’efficacia addirittura prevalente sull’autonomia negoziale dei contraenti”.
Analogamente, la Cassazione penale, Sez II, Sentenza n. 21937 del 7 giugno 2012 si pronunciava, dichiarando legittima la astensione per condizioni pregiudizievoli alla salute del lavoratore che dovendosi difendere dai gravi rischi correlati alla inalazione di fumo passivo delle sigarette dei colleghi era uscito dall’ufficio portandosi nel piazzale adiacente […]. Tanto solo per far comprendere quanto sia esteso il campo di applicazione di tale diritto, applicabile, alle condizioni predette, alle più varie situazioni che possono pregiudicare la salute e sicurezza dei lavoratori.
Credo di averle dato degli spunti di riflessione, non conosco però le varie sfaccettature della sua realtà lavorativa. Evidenzio in estrema sintesi quanto sia delicata e debba essere ponderata ed utilizzata alle condizioni sopra esposte, l’ipotesi di astensione dal lavoro: non è certo ammissibile operare in situazioni che espongano il lavoratore ad un rischio per la propria salute e sicurezza, il diritto però non deve essere abusato. Il rischio è che l’uso improprio del diritto di resistenza (o di autotutela del lavoratore) possa comportare gravi sanzioni disciplinari in capo a chi si sia astenuto dal lavoro in assenza delle condizioni premesse.
Buon lavoro, in sicurezza.
Dottor Michele D’Apote