Successione e patti successori, un caso concreto

Egregio Avvocato,
le scrivo per capire meglio la mia situazione poiché, pur avendo interpellato il notaio e l'avvocato che si sono occupati del mio caso, mi rimangono dei dubbi.
Nel 2001 mio padre ha donato l'immobile di famiglia, di proprietà sua e di nostra madre defunta anni prima, a me e mio fratello.
Successivamente si è risposato. Nostro padre è deceduto nel 2009 lasciando testamento olografo in cui disponeva che il patrimonio mobiliare e immobiliare andasse a noi figli lasciando la quota legittima alla moglie.
Da quel momento sono iniziate battaglie legali con la vedova che si sono concluse nel 2013 tramite un atto di rinuncia all'eredità della vedova registrato dal notaio; questo però a fronte di una cospicua somma da noi corrisposta alla vedova per evitare di andare in tribunale, fatto che è stato trascritto tramite scrittura privata di fronte a notaio e avvocati delle controparti. Questo ci fu proposto e consigliato e io mio fratello abbiamo accettato fidandoci.
Ora sul suo sito però leggo che "la rinuncia di sua sorella ad eventuali impugnazioni di legittima, a mio avviso, non ostante molti notai predispongano queste dichiarazioni a scopo “deterrente”, lascia il tempo che trova, in quanto i patti successori, quali che ne siano la portata e natura, sono vietati per legge ed attinti da nullità radicale (art. 458 CC)."
Cosa significa? Che l'atto che abbiamo non ha valore?
Seconda domanda: avvocato e notaio ci dissero di dover procedere entro 10 anni all'accettazione dell'eredità che si compone dell'immobile sopra citato avuto tramite donazione, di alcuni fondi mobiliari che abbiamo all'epoca subito trasferito sui nostri rispettivi conti correnti e di una piccola porzione di terreno suddivisa tra altri 10 parenti. Come ci dobbiamo comportare a riguardo?
La ringrazio per la cortese attenzione e la saluto cordialmente.
Lettera firmata
Ricordo il caso a cui Lei fa riferimento e che, fortunatamente, non ha nulla a che fare con la Sua vicenda.
Una successione si apre solo quando una persona muore e, ovviamente, non prima, in quanto la Legge si preoccupa – ai fini della certezza dei rapporti giuridici – di chi subentrerà nel suo patrimonio (inteso globalmente come rapporti attivi e passivi), diventando suo erede e versando le relative imposte.
Orbene, il defunto (c.d. de cuius), quand’ è ancora in vita, può disporre del suo patrimonio per quando cesserà di vivere con un atto formale e revocabile che è il testamento.
Il caso a cui Lei faceva riferimento attiene a patti relativi ad una futura successione intercorsi tra il testatore, ancora in vita, ed i suoi futuri eredi.
La Legge vieta questi accordi considerandoli nulli (art. 458 del codice civile).
L’atto formalizzato con la vedova, invece, è un contratto da transazione (artt.1965 e ss. del codice civile), attraverso il quale le parti si fanno delle reciproche concessioni per porre fine a una lite già iniziata oppure per prevenire una lite che potrebbe insorgere.
Il Suo caso, quindi, è completamente diverso perché tra Lei e Suo padre non vi sono mai stati accordi sulla futura eredità quando era in vita e questa si è devoluta regolarmente con un testamento, poi contestato dalla vedova e conclusosi transattivamente con una sua rinuncia, atto perfettamente legale in quanto l’erede (la vedova, in quanto coniuge, è un successore legittimo) può sempre esercitare questo suo diritto disponibile artt.519 e ss. del codice civile).
Circa il secondo quesito, l’avvertimento dato dall’avvocato e dal notaio è corretto perché, dal momento di apertura alla successione, l’eredità (intesa come attività e passività) è giacente e non vi sono ancora gli eredi veri e propri, ma solo una categoria di persone, individuate dalle legge se non vi è testamento (la c.d. successione legittima) o indicate nel testamento (c.d. successione testamentaria), che, per diventare tali, debbono accettare puramente e semplicemente l’eredità, o accettarla con beneficio d’inventario (per valutare se conviene o meno in presenza di debiti del defunto ancora pendenti, o se gli eredi sono minori o incapaci,) o anche rinunziarvi (se, per esempio, vi sono solo debiti o se questi sono superiori all’ attivo).
Tuttavia per la certezza dei rapporti giuridici, il chiamato all’eredità deve esercitare questa sua facoltà entro termini stabiliti dalla Legge, a pena di perderla (art.480 del codice civile) e questo in armonia con la previsione generale della prescrizione di tutti i diritti, se il titolare non li esercita entro il termine di dieci anni (art. 2946 del codice civile).
Detto questo, l’accettazione fa sì che i patrimoni del defunto e dell’erede si confondano e che quest’ultimo subentri per sempre in tutti i rapporti attivi e passivi del “de cuius”, così come insegna l’antico diritto romano con il brocardo “semel heres, semper heres” (per una volta sola erede, per sempre erede).
Secondo quanto previsto dagli artt.470 e ss. del Codice Civile, l’accettazione può essere espressa (cioè con un atto formale) o tacita (cioè posta in essere con comportamenti concludenti che il soggetto non avrebbe potuto compiere se non nella qualità di erede: ad esempio viene un creditore del mio defunto padre per riscuotere ed io, sia pure in assenza di accettazione dell’eredità, pago il suo debito).
Se i colleghi, conoscendo meglio la controversia, hanno consigliato un atto specifico (forse a miglior tutela dalla transazione intercorsa con la vedova), seguite il loro consiglio e formalizzate l’accettazione, anche perché dovrete curare la denuncia di successione e fare espressa menzione dei beni ereditati.
Saluti.
avv. Antonio Dello Preite
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