13/06/2019 12:07:58

Arresto contestato e possibili calunnie

Gent.mo Avvocato,
le scrivo questa email per chiederle un chiarimento/consiglio. Sono uno stimato professionista che esercita fra Napoli e Roma.
Fino a qualche anno fa - 2 per la precisione - lavoravo anche part time (50%) con l'Agenzia delle entrate con la qualifica di Direttore Tributario (9* Liv.).
Nonostante svolgessi attività esterna - consulenze varie, docenze c/o Università - restavo pur sempre in Amministrazione nella speranza che, prima o poi, si decidessero ad indire il concorso per Dirigenti per fare il definitivo salto di qualità.
Il 3 febbraio 2016, la mia carriera amministrativa viene irrimediabilmente compromessa dall'operato vergognoso di 2 carabinieri che, su denuncia di una signora, mi vengono a prelevare nell'albergo dove alloggiavo per arrestarmi con l'accusa di aggressione finalizzata alla rapina di un cellulare usato.
Roba da matti... come se fosse seriamente credibile che una persona come me vada in giro a rapinare cellulari usati.
Questo cellulare usato, peraltro, lo avrei rapinato ad una signora, di poco più di trent'anni - che 3 anni prima si era introdotta in casa mia - chiedendomi ospitalità per 3 o 4 settimane per trovarsi un nuovo alloggio - senza poi andare più via.
Ciò premesso, la informo che il processo è ancora in corso: in tutto questo periodo non sono riuscito ancora a deporre, per dimostrare il reale svolgimento dei fatti sulla base di prove documentali.
La mia richiesta di chiarimento/consiglio è se esiste un sistema per provare la colpa grave nell'operato delle forze dell'ordine, ritenendo che il Giudice abbia "convalidato l'arresto" poggiando il suo convincimento su una ricostruzione dei fatti fatta dai carabinieri assolutamente adesiva a quelle suggerita dalla sedicente persona offesa che non sono state, per nulla, verificate.
Per farle un esempio: la signora - che era stata bloccata da me sulle chiamate e per chat - nella denuncia dichiara di aver ricevuto una email quella sera che avrebbe fissato l'incontro.
Ebbene, quella email è palesemente falsa, inesistente, e non fu per nulla controllata dai carabinieri.
Stigmatizzabile sotto ogni punto di vista fu anche il rifiuto espresso alla mia richiesta di stampare le email intercorse quella sera tra me e la sedicente persona offesa.
Se lo avessero fatto, i carabinieri avrebbero compreso - si spera - senza ombra di dubbio, che non solo non esisteva alcun incontro programmato per quella sera ma che io fui vittima di un vero e proprio agguato predisposto dalla sedicente persona offesa.
Inutile dirle che la convalida dell'arresto, così come pure l'accusa pendente di rapina, ha pesato (e pesa ancora) come un macigno sulla mia psiche.
Non le dico la vergogna che provo anche semplicemente ad un semplice posto di blocco per un semplice controllo documentale dell'autovettura.
Sono stato per un periodo in cura psichiatrica e, da qui, è seguito il licenziamento da parte dell'Agenzia delle entrate (anche questo impugnato).
Io, però, mi chiedo: ma se non fossi stato io, se al mio posto ci fosse stato un altro dipendente che aveva solo quella come "opzione" professionale, come avrebbe reagito?
Ma è mai possibile che degli operatori di giustizia possano agire con tanta superficialità da far dubitare seriamente della loro onestà di condotta?
Va da sé che nel caso ci fosse anche una sola possibilità di chiamare alla sbarra i 2 fenomeni di quella sera, per inchiodarli alle loro responsabilità - anche ipotizzando una sorta di accordo con la persona offesa, tali e tanti sono state le omissioni e gli "atti di fede" - sarà mia cura contattarla per individuare una strategia... di attacco.
Se la mia azione potrà evitare che, in futuro, persone perbene possano trovarsi in balìa di simili personaggi (pericolosi) che, facendosi forti della loro divisa, non esitano un solo istante a rovinarti la vita, sarò felice solo di quello.
Nel ringraziarla per la disponibilità, porgo cordiali saluti

Non conosco gli atti del processo, per cui non posso entrare nel merito, anche se mi sforzerò di darle delle spiegazioni che possono dare un senso, quantomeno tecnico, alla sua vicenda, di cui posso ben comprendere gli indesiderati risvolti dal lato umano.
Un processo penale, quale che sia la sua complessità, ha sempre le stesse regole e lo stesso svolgimento: -1) la commissione di un reato e la sua conoscenza da parte della Polizia Giudiziaria con la comunicazione al Pubblico Ministero; -2) lo svolgimento di indagini con provvedimenti anche immediati (arresto, fermo, sequestro, ecc.); -3) la conclusione delle indagini e la richiesta del PM di rinvio a giudizio dell’indagato se vi sono sufficienti indizi di colpevolezza a suo carico; -4) la celebrazione del processo che si concluderà con una assoluzione o una condanna;  -5) le eventuali impugnazioni.
Nel suo caso, i carabinieri hanno raccolto la denuncia della signora che ha esposto fatti di notevole gravità perché la rapina (art.628 Cod. Pen.) prevede una pena detentiva fino a venti anni di reclusione ed hanno proceduto subito dopo al suo fermo, dato il tipo di reato, poi convalidato dal giudice per le indagini preliminari.
Ora, al di là della veridicità o meno della denuncia, i militari, dal punto di vista procedurale, hanno operato correttamente, perché il loro compito è quello di prevenire e reprimere immediatamente i reati posti alla loro conoscenza e di mettere subito a disposizione dell’Autorità Giudiziaria i loro autori, al di là delle valutazioni sulla capacità o meno di costoro di commetterli o dell’attitudine a delinquere, poiché queste spettano ad un giudice.
Se la signora ha raccontato i fatti come una rapina, i carabinieri intervenuti hanno subito posto in essere gli immediati rimedi del caso (il suo arresto o, meglio, il suo fermo, perché non c’era la flagranza di reato).
Tenga presente, poi, che i carabinieri sono dei pubblici ufficiali e che i loro atti sono, conseguenzialmente, atti pubblici, destinati a fare fede innanzi ad un magistrato.
Questo significa che il loro lavoro è improntato soprattutto a doveri di imparzialità e veridicità, a pena di gravissime responsabilità personali (abuso d’ufficio, atto pubblico falso, ecc.) che possono portare, oltre a severe condanne in sede penale, anche alla destituzione dal posto di lavoro ed al risarcimento dei danni.
Ritengo che i due militari intervenuti non conoscessero né lei né la signora, per cui hanno agito sulla base di quanto a loro riferito, rimettendo il tutto al PM.
Lei, poi, mi riferisce che il loro operato è stato convalidato e che, al momento, il processo è in corso e questo significa – come spiegavo sopra – che le indagini sono state concluse con sufficienti indizi di colpevolezza a suo carico e con il suo rinvio a giudizio.
A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: per tutte le obiezioni ed eccezioni sopra riferite, il suo avvocato, in tutto questo tempo, cosa ha fatto?
Sin dal momento del suo fermo, lei ha necessariamente dovuto nominarne uno che ha partecipato all’udienza di convalida prima e, poi, durante le indagini sino ad ora nello svolgimento del processo.
Il difensore ha tutti i poteri investigativi alla pari del PM perché la legge gli riconosce tali prerogative (artt.391-bis e ss. del Codice di Procedura Penale) per riferirne l’esito al giudice procedente, soggetto terzo ed imparziale tra accusa e difesa.
Debbo ritenere che lei lo abbia tempestivamente informato su tutte quelle notizie e prove a suo favore, a me esposte nella sua missiva.
Ad esempio, poteva citare la signora per interrogarla, chiedere il sequestro del telefonino in questione, estrarre gli sms che convalidavano la sua tesi difensiva, ecc.
Tutta questa attività poteva (e doveva) essere fatta subito e posta a conoscenza del PM e del GIP e, se le risultanze fossero state ritenute valide e a suo favore, lei non sarebbe stato rinviato a giudizio, perché lo stesso PM avrebbe richiesto l’archiviazione, a seguito della quale sorgeva un suo diritto a chiedere un indennizzo per la riparazione per ingiusta detenzione dovuta al suo pur breve arresto (artt. 314 e ss. Codice di Procedura Penale).
Visto che è pendente il processo, il suo difensore potrà comunque controinterrogare i carabinieri, la signora, citare propri testi, chiedere l’ammissione di prove tecniche, esaminare lei perché dia la sua versione dei fatti, chiedere un confronto con chi la accusa e fare tutte le attività più opportune nel suo interesse.
Pertanto, a mio parere, dovrebbe essere predisposta una difesa che miri a far accertare l’insussistenza delle accuse a lei addebitate, più che a soffermarsi su un’improbabile attività abusiva o illegittima da parte dei militari intervenuti, i quali anno già esposto in un atto pubblico (il verbale d’arresto) il loro intervento reso obbligatorio dal grave reato a loro denunciato dalla signora.
Inoltre, se a seguito degli accertamenti processuali dovesse emergere che costei ha inventato tutto, lei potrà denunciarla per il reato di calunnia nei suoi confronti (art.368 del Codice Penale – reclusione da due a sei anni), costituirsi parte civile nel processo e farsi risarcire i danni.
Auguri per il felice esito della sua vicenda.
Saluti.
Avv. Antonio Dello Preite

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