Bocche e tastiere intorno al gattino
A causa del clamore mediatico, sto seguendo in questi giorni la nota vicenda del gattino ucciso.
Si stanno commettendo – forse inconsapevolmente – una serie di reati e come responsabile della rubrica “Avvocato sul Web” non posso esimermi dal fare rilevare ai lettori l’illegalità di taluni comportamenti e le spiacevoli conseguenze alle quali si va incontro.
Cominciamo dal gattino ucciso.
La legge 20 luglio 2004 n.189, art.1 ha introdotto il Titolo IX – bis (Dei delitti contro il sentimento per gli animali) nel Libro II del Codice Penale con una serie di articoli che disciplinano talune ipotesi delittuose e tra queste: l’art. 544-bis del codice penale che così recita “…chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale, è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi …”, nonché l’art. 544-ter (maltrattamento di animali) che punisce con la reclusione da tre mesi ad un anno o con la multa da 3.000 e 15.000 euro “…chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche…”. Pene aumentate se l’animale muore.
Si pensi, ad esempio, a coloro che sono abituati a mozzare la coda o le orecchie a cuccioli di particolari razze, perché sono convinti che così siano più belli.
Questi delitti sono perseguibili d’ufficio e questo vuol dire che gli organi di polizia debbono agire indipendentemente dalla presenza di un atto formale, non appena ne hanno notizia e – come mi pare di capire – è quello che sta accadendo con l’autopsia dell’animale e con le audizioni dei testimoni.
Post e social network
E veniamo alle esternazioni sul web.
Ho appreso di minacce rivolte al sindaco Antonio Tutolo fatte tramite questo o quel social network.
Questo (ed altre espressioni rivolte ai presunti autori del gatticidio che ho letto) non si può fare.
Perché i reati sono due: la diffamazione aggravata a mezzo stampa (art.593, 3° comma del Codice Penale - reclusione da sei mesi a tre anni o multa sino ad € 1.032) a cui si aggiunge la minaccia grave (art.612, 2° comma del Codice Penale – reclusione fino ad un anno). Entrambi i reati sono perseguibili a querela.
La prima ipotesi tutela la reputazione di una persona che è strettamente correlata con l’insieme delle doti morali (onestà, lealtà ecc.), intellettuali (intelligenza, istruzione, educazione ecc.), fisiche (sanità, prestanza ecc.) e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dell’individuo nell’ambiente in cui vive. L’ipotesi del web, ad es. Facebook, è equiparata alla stampa, mezzo di elevata diffusione e, quindi, di maggior danno per il soggetto diffamato.
La seconda ipotesi tutela la libertà psichica o morale del soggetto dalle intimidazioni altrui che prospettano un danno ingiusto (ad es. la morte).
Inoltre, questi soggetti che diffamano e minacciano, sono facilmente rintracciabili dalla Polizia Postale (l’organo preposto al controllo dei reati informatici) che risale velocemente al suo autore e lo identifica denunciandolo all’Autorità Giudiziaria.
E’ come firmare il reato appena commesso.
Quindi, si faccia molta attenzione a quello che si dice e come lo si dice, perché la legge non ammette ignoranza e perché, come è stato già più volte sottolineato da Luceraweb, la Giustizia non agisce sui social o sui forum, ma solo ed esclusivamente nei Tribunali.
Buon Natale a tutti e Felice Anno Nuovo a tutti.
Avv. Antonio Dello Preite
(Luceraweb – Riproduzione riservata)