Coronavirus e infortuni sul lavoro, quali rischi?
Egregio dottor D’Apote, innanzitutto complimenti per la rubrica.
Sono un imprenditore con 6 dipendenti, e ho saputo che se i lavoratori si ammalano di Coronavirus, l’Inail gli riconosce l'infortunio e poi si rivale su di me. Quindi al titolare della ditta potrebbe essere richiesto di dover pagare decine o centinaia di migliaia di euro. Ma un imprenditore come può fare? Chiunque si può ammalare, probabilmente magari al supermercato o per strada o dalla sua ragazza, poi viene a lavorare.
Come si fa a chiedere ad un imprenditore di essere responsabile di questo? Grazie
(mail firmata)
Gentile lettore,
il suo timore che, in veste di imprenditore, debba rispondere del contagio di un lavoratore è in questi giorni condiviso da molti suoi colleghi. Più precisamente, la preoccupazione si è diffusa da quando la malattia Covid-19 è stata riconosciuta, a determinate condizioni, come infortunio sul lavoro. Il decreto “Cura Italia” prevede infatti all’articolo 42 comma 2 la copertura Inail per i lavoratori che contraggono l’infezione da Coronavirus “in occasione di lavoro”. Con questa espressione si intende oltre alla attività lavorativa nei luoghi di lavoro, anche la modalità “in itinere”, cioè nel percorso casa – lavoro - casa.
E’ noto che se il datore di lavoro non rispetta le norme in materia di sicurezza sul lavoro, l’Inail ha la facoltà di rivalersi su di lui per le somme erogate al lavoratore, comprese le rendite vitalizie, che verranno calcolate in base all’aspettativa di vita in mesi, moltiplicato per l’importo mensile. Ho molto semplificato, ma si comprende che le somme possono raggiungere importi elevati. Inoltre si corre il rischio che i datori di lavori vengano colpiti da numerose cause penali per lesioni personali colpose gravi o per omicidio colposo.
Per questo motivo, le associazioni datoriali di categoria in questi giorni stanno chiedendo ripetutamente al governo uno “scudo penale” che salvaguardi gli imprenditori.
A mio avviso è improbabile che venga concessa questa forma di salvacondotto.
In questo periodo in cui la legislazione nata con la pandemia è in frenetica evoluzione non sappiamo come si evolveranno questi aspetti, ma possiamo comunque fare delle considerazioni basate sulla normativa oggi vigente.
Occorre precisare che ove l’Inail riconosca l’infortunio al lavoratore, la responsabilità del datore di lavoro non è automatica: questi risponderà infatti penalmente e civilmente dei contagi avvenuti in occasione di lavoro solo se verrà accertata la sua responsabilità per colpa o per dolo.
A questo proposito, con la circolare del 15 maggio 2020 l’Inail ha ricordato che “i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro sono diversi. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail. Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.”
In sintesi, come dichiarato dal giudice di Cassazione Roberto Riverso, “L’accordare al lavoratore copertura Inail non significa che ci sia responsabilità penale del datore di lavoro”.
Da parte sua, però, il datore di lavoro se vuole dormire sonni tranquilli deve applicare puntualmente sia la normativa in materia di sicurezza sul lavoro che quella anti-covid.
- Per le attività in cui il rischio Covid è “endogeno”, cioè fa parte dei rischi professionali di quel lavoro, occorrerà pertanto valutare o aggiornare la valutazione del rischio biologico. E’ questo il caso dei laboratori di ricerca sul virus, del settore sanitario ecc..
- Per tutte le altre attività (la maggior parte) in cui il rischio è “esogeno”, cioè non è un rischio professionale dell’attività, ma può arrivare dall’esterno attraverso un cliente, un collega o altri, occorrerà applicare puntualmente la legislazione vigente, i protocolli condivisi e le linee guida siglate tra Inail e Istituto Superiore di Sanità emanate per gli specifici settori lavorativi.
- In tutti i casi, occorrerà in primis applicare in concreto le disposizioni anti covid vigenti. Inoltre, come comunicato dall’Ispettorato nazionale del lavoro nota n.89 del 13 marzo 2020, occorre raccogliere in un allegato del D.V.R. (Documento di Valutazione dei Rischi, che deve essere presente in tutte le aziende che hanno almeno un lavoratore) la procedura adottata per l’individuazione delle misure di prevenzione e per la tutela dei lavoratori dal Covid-19.
Auguro una sicura ripresa del lavoro a tutti.
Dott. Michele D’Apote
Michele D’Apote è laureato in giurisprudenza con indirizzo penale–lavoristico. È formatore per la sicurezza sul lavoro dal 1996. Coordinatore per la sicurezza, è consulente di imprese ed RSPP in vari ambiti lavorativi (edilizia, agricoltura, sanità, RSSA, settore estrattivo ed energetico). E’ professionista antincendio abilitato ed iscritto nell’elenco nazionale tenuto dai VV.F.. È autore di numerose ricerche e testi in materia di sicurezza sul lavoro pubblicati da case editrici del settore.
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