Alla ricerca della consapevolezza
Succede a tutti, succede davvero a tutti.
Cosa? Se fai mente locale, riesci a ricordare l’ultima volta in cui lo hai detto.
“Nessuno mi capisce”. Ecco: questa è la frase ‘magica’. Magari ti aspetti una pacca sulla spalla, una parola gentile, un abbraccio, qualcuno che ti sollevi un po’ dal carico di lavoro. O magari semplicemente di essere lasciato perdere, almeno per quel giorno. E invece no: sembra che in quel preciso momento, tutto il mondo ce l’abbia con te; sembra che proprio non ti capisca, che non possa farci nulla dinanzi al tuo “come stai”.
Forse hai ragione: in quel momento, davvero nessuno ti sta capendo.
Ma la domanda vera resta un’altra: tu – proprio tu – stai capendo come stai? Diciamolo diversamente: sai dire e raccontare a te stesso quello che stai vivendo?
Domanda scottante, evidentemente.
Scottante perché spesso e volentieri la nostra risposta è negativa: no, non sappiamo bene cosa ci sta accadendo. E nemmeno ci preoccupiamo di dedicarci del tempo per ascoltarci, per guardare a quello che stiamo vivendo, a come lo stiamo vivendo per giungere al “come mai” lo sto vivendo.
Ecco: possiamo partire di qui. Abbiamo bisogno di diventare consapevoli di quello che viviamo. Consapevolezza delle emozioni, per la precisione.
Diamoci questo obiettivo, così, per cominciare.
Cominciare a fare dei passetti per entrare in questo mondo così potente e prepotente delle emozioni. E lasciare che loro ci vengano incontro e che noi andiamo incontro ad esse. Quasi per dare loro il benvenuto, a prescindere da che volto hanno.
Torniamo a noi. “Nessuno mi capisce”. E tu? Ti capisci?
Il primo passo, quello per stare bene in queste situazioni e in situazioni simili, è fermarmi. Non te lo aspettavi, vero? Il primo passo è… fermarsi. Fermarmi per rendermi conto di cosa sto provando. E non è mica qualcosa di scontato! Mi rendo conto quindi di quello che sento col mio corpo; mi rendo conto di quello che sento dentro, di cosa si sta muovendo nella mia interiorità. Provo ad entrare in contatto con l’emozione che mi abita: e la accolgo, senza giudicarla (senza dirmi se è giusto o sbagliato provare quello che provo), senza negarla soprattutto. Onestamente, le do il suo nome: è rabbia. Oppure: è vergogna. Ancora: è disprezzo. Dare un nome a quello che provo.
È un primo passo ma fondamentale: quando mi dedico del tempo per consapevolizzare, comincio a poter gestire quello che vivo. Detto in altri termini: comincio a razionalizzare. Accolgo quello che la mia emotività vivo e non permetto ad essa di essere “padrone” di me. Se razionalizzo, riconoscendo l’emozione che vivo e dandole un nome, quella emozione ha meno potere su di me. Deve fare i conti con me, chiaramente. Perché non accada che io soccomba. Questo – bene inteso – con tutte le emozioni: quante volte prendiamo degli abbagli terribili (dicesi “illudersi”) per un eccesso di… gioia?
Ecco, cominciamo così: consapevolezza del fatto che provo emozioni. Consapevolezza di quale emozione vivo. La riconosco, dandole un nome. E le dico che è la benvenuta, che non deve vedermi come un suo nemico. Anzi, possiamo e dobbiamo negoziare come la sua presenza può tradursi in bene. Le dico che di certo può farmi stare meglio. E questo, anche se apparentemente è un’emozione che proprio non mi piace.
Vuoi cominciare, allora? Consapevolezza come parola d’ordine.
Comincia (così, per allenarti) guardandoti in una delle tue relazioni. Quando incontro la mia “dolce metà”, come mi sento? Le emozioni che provo sono legate a quel momento preciso o mi possono raccontare molto di più? Mi sento così perché in quel momento sto così oppure perché quella relazione la vivo in un certo modo al di là di quel momento preciso?
Incontro la mia “dolce metà” e per esempio mi sento sereno: lo sono perché quel momento è sereno? Oppure scopro che la sua presenza mi aiuta a generare quella serenità necessaria per affrontare ogni momento della vita. E questo mi fa stare bene e mi rinforza nel desiderio di passare molto più tempo (tutta la vita?) con quella persona. È un esempio… forse troppo semplice… ma è giusto per capirsi.
Bene. Questo è il primo passo. Se ti farà piacere, ne faremo altri insieme per “seguire” le emozioni.
Ti do appuntamento a presto. Però, tu intanto prova a consapevolizzare.
Se ti va, puoi anche provare a fare un “test” su quello che hai letto: clicca sul link, invia il test in forma anonima e leggi il risultato.
E intanto, ti dico grazie: ti sei preso del tempo per te. Quando facciamo questo, stiamo meglio. Se tu stai meglio, se io sto meglio – non ci crederai, ma è così! – l’umanità sta meglio. Grazie, davvero!
Enza Fatibene
Contatti diretti: inriequilibrio@gmail.com
Enza Fatibene vive e lavora a Lucera. Ha 53 anni, è sposata e madre di tre giovani uomini. E’ una professionista socio-educativa, adeguatamente formata con metodologie specifiche a beneficio delle singole persone, delle coppie e della famiglia. In collaborazione con l’Associazione Consultorio La Famiglia di Lucera, ha condotto cicli di incontri per adolescenti e giovani coppie.
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