Don Pozza, ambasciatore della misericordia, a Lucera

L’importanza di uno sguardo, l’andare oltre la copertina che ricopre l’essere umano e leggerne il contenuto con gli occhi del fratello, vedendo ciò che in quella persona ha visto Dio prima di tutti ed è il motivo per cui la ama senza limiti.
Si possono riassumere così i concetti espressi da don Marco Pozza nell’intensa ora e mezza che giovedì sera ha tenute incollate decine e decine di persone nella chiesa di San Pio X a Lucera. L’incontro, ultimo di un breve ciclo, intitolato “Chi dorme non piglia Cristo” dall’ultimo libro di don Pozza, è stato voluto e organizzato dal parroco, don Rocco Coppolella.
“Per dare un segno al quartiere e alla nostra parrocchia – ha spiegato a Luceraweb – per dirla con Papa Francesco: dalle periferie possono arrivare voci forti e belle”. E la risposta all’invito è stata ottima da parte dei lucerini in generale, non solo dei parrocchiani. “Perché chi viene a parlare – ha chiarito Coppolella – ci racconta della propria vita, della propria esperienza, ma soprattutto di un Dio che si incarna in questa storia e in questo tempo”.
E la chiesa di Via Pasubio giovedì era stracolma. Solo posti in piedi per ascoltare la testimonianza del presbitero 43enne originario di Calvene, in provincia di Vicenza, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, scrittore, autore e conduttore televisivo molto noto al pubblico, anche per essere descritto come vicino a Papa Francesco, il quale nel 2016 gli telefonò a sorpresa. Del resto, il rapporto amicale con il Santo Padre gli ha consentito di intervistarlo ben quattro volte nell’ambito di altrettanti programmi televisivi dedicati all’approfondimento religioso.
“Secondo me voi avete preso un abbaglio – ha esordito Pozza, mettendo subito in chiaro che i presenti non avrebbero assistito a uno spettacolo di cabaret e che quindi, nella casa di Dio, non ci sarebbero stati applausi o fischi durante il suo intervento – perchè io non sono una star o il personaggio televisivo che voi immaginate. Don Marco è un sacerdote che anche oggi ha cercato di essere il miglior sacerdote possibile, come don Rocco e gli altri sacerdoti presenti stasera. Non c’è altro da aggiungere. Quando sento la gente che dice: ‘Stasera abbiamo don Marco che ha intervistato il Papa’ la domanda che mi pongo è questa: ma se io non avessi avuto la grazia di incontrare Papa Francesco, non sarei nessuno? Se non avessi avuto la possibilità di usare la televisione, non sarei nessuno? No, io valgo perché sono Marco e perché questa è la mia storia ed è l’unica che posso raccontare”.
Filo conduttore dell’incontro è stata la misericordia di Dio in cui è necessario rispecchiarsi per poterla testimoniare e usare con gli altri. Da qui il racconto del presbitero che è finito nell’unico luogo che odiava: il carcere, per poi trasformare nei suoi “800 ragazzi” proprio coloro che, secondo il comune sentire e il proprio, avrebbero dovuto marcire in quel posto.
“Mi credereste – ha detto Pozza con l’enfasi che l’ha accompagnato per tutta la serata - se vi dicessi che avrei preferito non incontrare Papa Francesco? Ad un certo punto della mia storia d’amore con Dio, con i suoi alti e bassi, come tutte le storie d’amore, l’ho tradito. Sono un sacerdote che ha sbagliato, ma che invece di trovare la moneta che ha sempre usato con gli altri, cioè il ‘deve morire’, ha incontrato un uomo (Bergoglio, ndr) che gli ha detto: ‘Se tu vuoi, da qui si può ricominciare’. Io sono frutto – ha spiegato – della misericordia che Papa Francesco ha usato nei confronti di un sacerdote pazzo. Per questo non posso non sforzarmi di usare misericordia con chi nella vita non ce la fa al primo tentativo a conquistare la felicità”.
Breve il passaggio sul suo ultimo libro, giusto a sottolinearne il titolo preso in prestito dal famoso detto “chi dorme non piglia pesci”.
“Cerco di scrivere a quel bambino che è nascosto dentro di me – ha dichiarato a Luceraweb – per ricordargli che, per portare a casa il pesce, non basta che tu ti sieda sulla riva e getti l’amo, ma che devi stare attento che, quando il pesce abbocca, devi tirarlo subito su. E così anche con Cristo bisogna stare attenti ad incontrarlo e a cogliere il suo passaggio, anche se non è sempre facile riconoscere le traiettorie di Dio. Abituati a ricercare sempre eventi sensazionali, forse ci perdiamo quella bellezza che è nelle cose ordinarie della quotidianità”.
Numerosi gli aneddoti che don Marco ha raccontato della sua storia personale che è fatta di tanta quotidianità in cui gli altri possono riconoscersi, ma anche di una costante ricerca della felicità che aveva messo in conto eventuali errori durante il percorso, nonché della sua vocazione, con incontri straordinari in cui la testimonianza di vita ha prevalso sul semplice parlare di Dio, così da suscitare in lui la curiosità verso Gesù. E poi le storie sui ragazzi carcerati, di cui ha scelto di raccontare i momenti più importanti, quelli in cui dalle macerie è sorta la bellezza, in cui è emersa la potenza dello sguardo che oltrepassa le “copertine brutte” e che legge la favola interiore dell’altro, quella che nessuno può leggere da se stesso.
Storie che vanno oltre l’errore e la condanna, che narrano del coraggio di chiedere scusa e di cercare di riparare al male commesso e che conducono verso quella parte intima dell’uomo in cui c’è ciò che vedono Dio o gli occhi di una mamma.
“Ognuno di noi è frutto del pensiero di Dio. Siamo stati sognati, cercati e voluti”, ha scandito, citando Papa Benedetto XVI. Concetto che fa il paio con quanto gli disse Papa Francesco nel primo incontro: “Ti ho voluto bene prima di conoscere la tua storia”.
La felicità di chi ha toccato la misericordia e la semplicità del Cristianesimo: il bicchiere d’acqua a chi ha sete, la visita ai carcerati e il dar da mangiare a chi ha fame per andare in Paradiso. Questo l’augurio di don Marco all’assemblea.
Enza Gagliardi
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