Via Tributa, il Comune vince l'appello

Il Consiglio di Stato, dopo aver rigettato la richiesta di sospensiva, ha clamorosamente ribaltato la sentenza di primo grado del Tar Puglia che aveva messo all’angolo il Comune di Lucera sulla vicenda dei permessi per la costruzione di un palazzo a scopi residenziali in Via Tributa.
L’iniziativa legale era stata della famiglia De Matteis che si era sentita lesa dal comportamento ondivago dell’ente, a proposito di rilasci delle autorizzazioni edilizie, visto che alla fine se ne sono contate tre nel giro di dieci anni, tra assensi, presunti silenzi e annullamenti successivi.
I giudici di Roma, di fatto, hanno lasciato a bocca asciutta i ricorrenti che avevano invocato un risarcimento, tra danni e mancato guadagno, di oltre 2 milioni di euro, così come indicato dal tribunale di Bari che in realtà non aveva indicato una cifra precisa, ma posto un ragionamento sul quale si sarebbe dovuto trovare un accordo tra le parti.
Durante i nove mesi trascorsi dal primo pronunciamento, l’Amministrazione Pitta non ha mai convocato gli imprenditori che in effetti si erano spazientiti, presentando proprio qualche settimana fa un nuovo ricorso, finalizzato al riconoscimento del giudizio di ottemperanza, a questo punto, però, estinto, perché è venuta meno la materia del contendere.
Secondo Palazzo Spada, infatti, il Comune ha semplicemente applicato una serie lunga, complessa e consequenziale di norme in materia urbanistica, incontratesi in un periodo storico (anno 2016 soprattutto) in cui è sopravvenuta l’approvazione del Pug.
“Deve escludersi ogni forma di responsabilità soggettiva – è scritto nel dispositivo - tenuto conto che la contestata condotta è stata orientata da principi normativi e giurisprudenziali in tema di distanze legali (10 metri tra due fabbricati, ndr) di incerta applicazione e non agevole coordinamento, a cagione del contrasto esistente fra fonti normative di livello diverso, suscettive di non facile e immediata ordinazione e composizione. E quindi il permesso di costruire rilasciato dal comune nel 2021 trae fondamento proprio dalla applicazione delle norme del 2019 e 2020. L’appello pertanto deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinta la domanda risarcitoria. Comunque sia, nella novità e complessità delle questioni trattate, il collegio ravvisa le eccezionali ragioni che consentono di compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio”.
Questa storia, alla fine, lascia due retroscena: il primo è che tutto è iniziato con un primo ricorso di Roberto Olivieri, confinante con l’immobile in questione, che aveva lamentato il mancato rispetto della distanza minima di 10 metri tra i fabbricati, disposizione che poi il Consiglio di Stato ha definito sostanzialmente inderogabile nel caso di specie del territorio pugliese dove non esiste norma specifica e diversa; il secondo è che a difendere il Comune è stato l’avvocato Ignazio Lagrotta che in primo grado non si era incredibilmente costituito per conto dell’ente, nonostante fossero stati adempiuti tutti gli atti politici e gestionali del caso. Peraltro era stato proprio lui a rilasciare un parere all’allora capo dell’ufficio tecnico su cui poi è stato basato l’annullamento in autotutela del permesso del 2017, e la contestuale immediata sospensione dei lavori, poi ripresi con un successivo provvedimento oggi ancora valido.
r.z.
(Luceraweb – Riproduzione riservata)