12/09/2023 18:25:52

Caro mondo, soffro di ansia

Caro mondo, 
mi rivolgo a voi oggi con un cuore aperto e il desiderio di condividere una parte importante della mia vita che spesso rimane nascosta. Soffro di ansia e attacchi di panico, e vorrei che comprendeste quanto sia difficile affrontare la vita di tutti i giorni con questi sintomi che sembrano dominare ogni aspetto della mia esistenza. 
L’ansia non è solo una sensazione passeggera di preoccupazione, ma piuttosto una presenza costante, un compagno indesiderato che si insinua nei momenti più inaspettati. Quando sei alla guida, quando sei in mezzo le persone, quando sei da sola in mezzo la strada e non ti senti più te stessa, quando mangi, quando semplicemente respiri. I miei attacchi di panico sono come tempeste improvvise che mi travolgono, lasciandomi spesso senza fiato e terrorizzata. Queste esperienze mi costringono a vivere costantemente in uno stato di allerta, come se il mio corpo e la mia mente fossero in una battaglia interminabile. 
Non vi dico tutto questo per cercare compassione o pietà, ma piuttosto per farvi comprendere quanto sia importante riconoscere e affrontare la realtà dell’ansia. Troppo spesso, questa condizione viene sottovalutata o ignorata, e altrettanto molto spesso viene vista dalle persone che mi circondano come una esagerazione, ma vi assicuro che non è semplicemente “nervosismo” o “stress”. È una malattia che richiede cura e comprensione. 
Cercare aiuto e supporto non è un segno di debolezza, ma di coraggio. Ho imparato che chiedere aiuto è un passo cruciale verso il recupero. E mentre cerco trattamenti e supporto, vorrei anche chiedere a voi, il mondo, di essere più consapevole delle sfide che affronto e delle sfide che molti altri affrontano ogni giorno. 
Insieme, possiamo contribuire a creare un mondo più empatico, in cui coloro che lottano con l’ansia e gli attacchi di panico si sentano meno soli e stigmatizzati. Possiamo farlo parlando apertamente di queste questioni, offrendo il nostro sostegno e cercando soluzioni insieme. 
Vi ringrazio per avermi letto e spero che queste parole possano contribuire a diffondere la consapevolezza e la comprensione dell’ansia. Con il vostro aiuto, posso sperare in un futuro in cui la mia lotta e quella di tanti altri possa essere alleggerita.  
(mail firmata) 

 
Abbiamo rispettato la richiesta di chi ci ha inviato questa lettera di conservare il proprio anonimato.  
Tuttavia, data la delicatezza dell’argomento, abbiamo ritenuto opportuno fornire un contributo chiedendo il supporto di una professionista, la psicologa psicoterapeuta Lucia Susanna (alla quale non abbiamo comunicato le generalità del mittente), affinché aiuti i lettori a entrare meglio nei termini della questione con riflessioni utili per tutti coloro che si trovano ad affrontare una situazione simile, che si soffra di ansia e attacchi di panico o come persone vicine a chi vive esperienze simili. 

 
La prima cosa che mi sento di dire è: “Grazie” a questa giovane donna che ha voluto condividere con “Il mondo” quello che è un suo vissuto profondo e intimo. Mi sento di ringraziare ponendomi in una posizione di ascolto e accoglienza perché molto spesso sono le due cose che mancano. 
L’ansia, quella disadattiva (perché l’ansia fa parte di noi, è disadattiva quando ci impedisce di vivere la nostra vita), è un’espressione di una sofferenza che non trova altro modo per essere espressa. Questo, non è per aprire un simposio che abbia come argomento l’ansia, ma per aprire una riflessione che abbia come argomento la sofferenza e la persona che ne è portatrice. 
Molto spesso siamo portati a pensare che siamo tutti uguali, che la sofferenza, se non si tratta di grandi traumi tracciabili, non può essere definita tale. Come scrissi tempo fa: non esiste un “sofferenziometro” che misura il livello di sofferenza di ciascuno. Esiste la sofferenza ed esistono vari modi di viverla, esprimerla o non esprimerla. Per cui, quando qualcuno soffre non possiamo dirgli “Non è niente” oppure “Stai esagerando, cosa dovrei dire io”. Ognuno ha il diritto di soffrire e ciascuno dovrebbe avere il dovere di non giudicare. Basta una semplice cosa: esserci per e con l’altro e il più delle volte in silenzio. 
A me colpisce un’espressione che si può ascoltare vedendo il film “Avatar”. Ad un certo punto uno dei due protagonisti dice all’altro: “Ti vedo!”. Questa espressione mi rimanda al poter vedere l’altro nella sua interezza e nella sua essenza, senza porvi obiezioni, accettandolo così come è. 
Proviamo a “Vederci” tutti e come dice questa giovane donna: “Cercare aiuto e supporto non è un segno di debolezza”, ma di cura verso se stessi medicando le ferite ancora sanguinanti. 

Dott.ssa Lucia Susanna
Psicologa psicoterapeuta

(Luceraweb – Riproduzione riservata)

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