Ai Montagano la Cantina Svevo, ma i Petti non si arrendono

Rischia di finire in tribunale il clamoroso esito della vendita della Cantina Svevo di Lucera, celebrata mercoledì scorso davanti al notaio Amelia Anna Benincaso.
Nonostante tutti i pronostici dessero per favorita la famiglia Petti che la stava già detenendo in fitto da alcuni mesi con l’intenzione di voler riaprire uno storico presidio dell’enologia pugliese anche grazie a una società appositamente costituita, alla fine l’aggiudicazione è invece stata riconosciuta ad altro soggetto rappresentato dall’avvocato Gianpaolo Tancredi di San Severo, per una somma di 480 mila euro, solo 2 mila euro in più rispetto al prezzo minimo prefissato. L’assegnazione è avvenuta praticamente al primo colpo, senza rilanci, perché gli imprenditori lucerini, rappresentati dal commercialista Mario Cardillo, sono stati esclusi per carenza di documentazione, vale a dire un certificato di vigenza. Tuttavia la decisione della professionista, incaricata dal curatore della liquidazione coatta Matteo Mauro Albanese, probabilmente sarà impugnata in sede giudiziaria.
A ogni modo, il misterioso acquirente, sebbene l’avvocato non abbia voluto rivelarlo, è la famiglia Montagano, ben nota a Lucera per aver condotto fino a qualche anno fa la Bio Ecoagrim, l’impianto di compostaggio oggi denominato Maia Rigenera dal quale è uscita dopo la fondazione avvenuta da parte di Dario Montagano.
Del resto, si tratta di un gruppo tutt’altro che neofita del settore, già piuttosto impegnato in agricoltura con il marchio Enoagrimm, grazie alla disponibilità di due importanti strutture come un frantoio e una cantina, entrambe a San Severo, oltre a diversi centri di raccolta di materie prime (grano, olive, uve) dislocati in altri centri dell’Alto Tavoliere. Nella bacheca aziendale ci sono anche alcuni premi internazionali nella categoria del vino sfuso, indicativi di una propensione a diventare sempre più collettore della raccolta di prodotti che il territorio è in grado di esprimere evidentemente con elevate qualità.
Quale sia il reale progetto industriale è ancora presto per dirlo, ma questa acquisizione, se non altro, conferma le mire che il capostipite (scomparso tragicamente tre anni fa a seguito di un suicidio) aveva manifestato già nel 2015, quando offrì un milione di euro al precedente liquidatore. In questo modo, comunque, la famiglia punta a mettere una bandierina fissa nell’agro di Lucera che non aveva più un punto di riferimento aperto e vicino come quello di Viale Orazio, per decenni luogo di conferimento di uve che hanno generato importanti e gloriosi vini, a partire ovviamente dal Cacc’e Mmitte che nel 2026 festeggerà i 50 anni dalla fissazione del disciplinare Doc nato proprio in quella stessa cantina.
In effetti, questa vendita, oltre al grande valore storico e simbolico, rappresentava un’operazione ritenuta economicamente molto appetibile dagli esperti del mondo agricolo, perché il complesso è unico nel suo genere e nella sua configurazione, perché venduto in unico lotto esteso per una superficie di oltre 14 mila metri quadri, costituito da più edifici e strutture come un corpo di fabbrica centrale destinato a uffici, laboratorio, magazzino e imbottigliamento e vendita, oltre a vasche in cemento per lo stoccaggio del mosto-vino con capacità di 40 mila ettolitri, un capannone, silos e botti in legno.
r.z.
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