Il vescovo, i docenti e quella certa idea della scuola
Quando il vescovo Giuseppe Giuliano proferisce parola (parlata o per iscritto) su questioni che non riguardano strettamente la spiritualità, molto spesso succede qualcosa, anche perché in questi sette anni e mezzo di presenza nella diocesi di Lucera-Troia non ha quasi mai mostrato la ricerca del consenso. Altrettanto di frequente, le sue esternazioni sono chiaramente animate da buoni propositi, compresi quelli in cui si produce in strigliate e reprimende che comunque devono far parte anche della sua funzione, tuttavia esternate in maniera così largamente generalizzata e inefficace che finisce per mettersi dalla parte del torto, attirandosi antipatie e dissenso che non fanno certamente bene a quella concordia che una comunità di cattolici dovrebbe accrescere al suo interno e possibilmente manifestare all’esterno.
Che ci siano problemi di comunicazione nei corridoi del palazzo vescovile è ormai chiaro fin dall’inizio dell’attuale episcopato, e in questi ultimi giorni è successo ancora una volta, in occasione dell’inizio dell’anno scolastico per il quale il prelato ha scritto ben due lettere che in realtà hanno visto in pochissimi, anche perché ormai non si trova più nessuno che legga veramente questi messaggi che arrivano da istituzioni civili e religiose in occasione di appuntamenti importanti annuali.
La doppia missiva in effetti risale all’8 settembre, ma è rimasta sotto traccia fino a quando una sola docente non se la sia ritrovata sotto gli occhi. Quello è stato l’inizio di un nuovo giro di giostra di polemiche e accuse reciproche con la categoria degli insegnanti che, in numero però indefinito, ha voluto opporsi alle parole arrivate dalla Curia.
"...Non è raro, almeno per me, ascoltare lamentele circa gli ‘adulti del mondo della scuola’ – è il passaggio più contestato del prelato – e non posso nascondere un forte disagio quando tali adulti, con le loro prepotenze e i loro inganni, appartengono alla comunità cristiana. Desidero chiedere scusa ai ragazzi e alle loro famiglie per i cristiani che offrono testimonianze deprimenti di smanie di potere, di ingannevoli sotterfugi, di pigrizie professionali…".
Sarebbe il caso di dire “Apriti cielo”, perché a stretto giro è stato scritto un testo di risposta che tuttavia non è stato firmato da alcuno in particolare, ma diffuso con la modalità dei social network con la generica firma “una significativa rappresentanza di docenti, tra cui molti cattolici praticanti”. In realtà si tratta di persone che si sono più che altro limitate a qualche like, mentre la quasi totalità si è guardata bene dall’esporsi pubblicamente, come nella migliore consuetudine.
“In tutte le professioni, e non ultimo nel clero, ci sono persone più o meno valide, più o meno dignitose, più o meno adeguate al ruolo che ricoprono, a prescindere dal fatto che appartengano o meno alla comunità cristiana – è il testo di risposta – e quindi si fa presente a Sua Eccellenza che nel così tanto bistrattato pianeta scuola esiste tanta altra gente che opera con coscienza, professionalità, passione, profonda umanità e dedizione, con uno stipendio inadeguato e alle prese con ragazzi nel pieno di quella difficile e problematica fase della vita che è l'adolescenza, quando il supporto e la collaborazione scuola-famiglia sono più che mai fondamentali ma non sempre scontati. E allora, tali esternazioni appaiono, oltre che inopportune, ingiuste, irrispettose e offensive. Ma soprattutto non aiutano a creare quel clima collaborativo di proficua, pacifica convivenza di cui la nostra comunità ha tanto bisogno”.
In realtà le lettere sono due, perché il vescovo ne ha inviata anche una possibilmente più pesante ai soli docenti di religione, ai quali ha ricordato che “l’insegnamento non può ridursi a mera ‘sistemazione o faccenda economica’, così come anche qualche presbitero ha inteso nel passato. C’è qualcosa in più, che forse va scoperto o almeno riscoperto, nella presenza necessariamente educativa nella scuola che si aspetta da ciascuno impegno professionale e anche un minimo di testimonianza che deve emergere dalla propria umanità purificata ed affidabile. Non posso nascondere il disagio, che vivo da tempo e non solo nella nostra diocesi, quando sento le lamentele e i mugugni, se non proprio il disgusto e il disprezzo per i ‘professori di religione’. Preferisco poi solo accennare alla presenza non sempre edificante né educativa di consacrati insegnanti, che sembrano presi da interessi non certamente ‘pastorali’”.
Da questa specifica categoria non sono arrivati riscontri, ma sarebbe stato interessante conoscere, per esempio, la posizione del responsabile della comunicazione della Curia, Piergiorgio Aquilino, che è proprio un insegnante di religione.
Dal canto suo, monsignor Giuliano non si è certo sottratto dalla replica, registrata domenica sera durante la messa al santuario della Serritella di Volturino, in cui ha riferito di respingere i tentativi di voler metterlo a tacere, peraltro su una questione che avrebbe effettivamente bisogno di un serio approfondimento, andando oltre l’autodifesa da parte del mondo scolastico (e non solo i docenti) da cui non sono arrivate finora né mani tese né tanto meno autocritiche. Eppure un incontro pubblico sul tema sarebbe auspicabile, perché costituirebbe un passo avanti nella crescita della comunità: c’è da scommettere che ne verrebbero fuori delle belle, da una parte, dall’altra e dalla terza (forse più importante) delle famiglie stesse.
Riccardo Zingaro
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