
L'avvocato Antonio Dello Preite cura la rubrica dedicata all’analisi di problemi di natura legale per Luceraweb
Egregio Avvocato,
chi le scrive è un’anziana madre. Mia figlia è sposata da diversi anni con un marito violento dal quale ha avuto due figli di cinque ed otto anni. Costui, anche per motivi futili picchia la moglie (e credo anche i bambini) che, spesso, viene a casa piangendo sfogandosi con me. Mia figlia non ce la fa più e, anche se non lavora e non ha redditi, vuole lasciarlo comunque. Io sono profondamente cattolica ed all’antica e credo nei valori del matrimonio, ma di fronte a situazioni del genere non so più che cosa pensare. Cosa deve fare mia figlia per difendersi?
Grazie (una madre in pena).
Gentile Signora, sono solo un avvocato e posso darLe un consiglio secondo la legge degli uomini. Per i suoi dubbi di natura morale e religiosa certamente più di me potrà rispondere al Suo quesito il nostro don Michele Cuttano che cura splendidamente l’altra rubrica di Luceraweb “…ho un dubbio…” .
La vicenda da Lei segnalata è purtroppo più frequente di quanto si possa immaginare.
Non so a quale punto sia acuta la crisi fra i due coniugi, ma mi sembra di capire che non vi siano più spazi per una conciliazione o per un graduale miglioramento dei rapporti.
Se le cose stanno così le due vie da intraprendere sono quella civile e quella penale, previa consultazione con il proprio Legale di fiducia.
Quella penale comporta la denuncia di sua figlia nei confronti del marito per le lesioni (art. 582 Codice penale – reclusione da tre mesi a tre anni) ed i maltrattamenti (art. 572 Codice penale – reclusione da uno a cinque anni) subiti da lei e dai bambini.
Se dovessero ripetersi gli esecrabili comportamenti di suo genero, sua figlia con i bambini ben potrà lasciare il domicilio domestico per trovare riparo nella Sua casa, non prima però di essere andata dai Carabinieri a sporgere denuncia: questo perché i coniugi hanno l’obbligo della coabitazione e, così facendo sua figlia contravverrebbe a questo precetto che integra anche gli estremi del reato (art. 570 Codice penale). Così facendo, stante l’urgenza di proteggere prontamente e senza dilazione l’incolumità fisica e psichica di se stessa e dei minori, Sua figlia non sarebbe punibile per l’allontanamento dal tetto coniugale.
Venendo alla via civile esistono due soluzioni: la prima è quella prevista da una speciale procedura introdotta dalla Legge 04.04.01 n° 154, che ha introdotto gli articoli 342-bis e seguenti nel codice civile (ordini di protezione contro gli abusi familiari), la seconda è quella della separazione dei coniugi.
La prima strada è un rimedio temporaneo alla crisi coniugale: il coniuge maltrattato si rivolge al Tribunale, il quale, velocemente e senza tante formalità, assunte le necessarie informazioni, ordina l’allontanamento dell’altro per un certo periodo di tempo e con determinate prescrizioni.
La seconda strada (a mio avviso preferibile) è più penetrante e più ampia, perché il Tribunale convoca i coniugi, tenta eventualmente di conciliarli, dispone che la casa coniugale ed i figli siano assegnati ad uno dei due (nel suo caso certamente a Sua figlia) e che il marito (che è l’unico ad avere un reddito) versi gli alimenti. Se in futuro vi sono le condizioni per la riconciliazione, questa potrà avvenire immediatamente e senza comparire nuovamente innanzi al Giudice, con la sola ripresa della coabitazione. Alcune volte – non sempre – una pausa di riflessione può giovare a migliorare rapporti estremamente deteriorati.
Decorsi tre anni dal provvedimento del Tribunale che sancisce la separazione, Sua figlia, se lo crede, potrà ottenere con altro ricorso, lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio (il c.d. divorzio) ed eventualmente risposarsi (solo civilmente, in quanto la Chiesa ritiene indissolubile il matrimonio) con un altro uomo (Legge 01.12.70 n° 898).
Mi consenta, tuttavia, di esprimere un personale pensiero, anche se non richiesto.
Al di là di tutte le valutazioni morali e legali sulla Sua vicenda, credo che ogni persona abbia non solo il sacrosanto diritto di difendersi con tutti i mezzi possibili da chiunque voglia usarle violenza fisica e/o psichica (fosse anche il marito o il padre) e di dover difendere chi non lo può fare (i bambini), ma anche quello parallelo – certamente non meno importante – di perseguire, in questa vita, la propria felicità, vuoi con persona di diversa da quella sposata, vuoi da sola, se ciò è il suo desiderio appagato.
Avv. Antonio dello Preite
Per sottoporre domande scrivere a: a.dellopreite@luceraweb.com
Settimanalmente i lettori potranno trovare risposta a quesiti generici curati dall’avvocato Antonio Dello Preite.
Questa rubrica, che ha anche uno spazio fisso nella colonna di sinistra della home page, tuttavia, non rappresenta in alcun modo una consulenza legale, ma soltanto una divulgazione ed un chiarimento di argomenti giuridici generali ed impersonali. I lettori non possono formulare quesiti che, per specificità più o meno complessa, richiedano uno studio approfondito e, quindi, una vera e propria consultazione professionale.
Maggiori dettagli riguardanti i quesiti proposti in questa rubrica si trovano anche alla pagina “Il diritto per tutti” (http://www.avvdellopreite.it/il_diritto_per_tutti.htm), sezione monografie, dove l’argomento è trattato con maggiore approfondimento.